Il cuore: una parola che nella storia dell’umanità ha assunto i più svariati significati e della quale il più delle volte, forse, se ne è fatto uso in modo improprio. Infatti, sarebbe riduttivo e scontato limitare il significato del termine al semplice ma fondamentale organo del nostro corpo, così come non si può pretendere di sentirsi sempre col cuore (inteso in senso biblico come sede delle decisioni) libero da ogni ferita o preoccupazione, in uno stato di apparente, eterna felicità o assenza di dolore. Questo e molto altro è quanto è emerso dall‘intensa settimana passata in Sila da noi redattori insieme ad altri giovani, in occasione del campo scuola organizzato dalle suore piccole operaie dei Sacri Cuori, mai banale e sempre ricco di tanti contenuti, tali da indurre necessariamente alla preghiera e alla riflessione su molti aspetti della nostra vita che il più delle volte diamo troppo per scontati.
Il campo scuola è prima di tutto un’esperienza di fraternità, nella quale anche il carattere più ferito o chiuso al prossimo deve necessariamente uscire dal proprio guscio per poter vivere pienamente questi giorni insieme a Gesù. Il concetto da tener presente, per quanto difficile da assimilare, è abbastanza chiaro: chi ci sta accanto, che sia più o meno simpatico o abbia più o meno affinità col nostro carattere, è sempre uno strumento attraverso il quale Qualcuno vuole comunicarci qualcosa, spronarci, metterci alla prova contro i nostri limiti. E non perché provi piacere nel farlo, ma per aiutarci a compiere quei piccoli ma necessari passettini per iniziare il procedimento di restaurazione del proprio cuore. Non sempre incontreremo nella nostra vita persone che possano entrare a farne parte stabilmente. Ma cominciando, appunto, a ragionare nell’ottica del prossimo come strumento, e tendendo sempre presente che anche lo stesso nostro prossimo si trascina un vissuto più o meno provante e complicato e lo esterna in modo diverso da come facciamo noi, allora la prospettiva comincia a cambiare drasticamente e ci si apre un mondo tutto nuovo. E tutte le attività svolte insieme, di riflessione dopo le catechesi sempre ricche, originali e intense tenute dalle suore o di maggiore svago come i giochi, le canzoni o gli scherzi riuniti intorno alla tavola, sono i migliori mezzi per cogliere maggiormente questo positivo cambiamento.
Scoprire il prossimo è anche un passaggio importante per imparare a conoscere sé stessi. Come già accennato, e parafrasando il poeta John Donne, nessun uomo è un’isola, e deve necessariamente relazionarsi con altri suoi simili e con l’ambiente che lo circonda. Allo stesso tempo, tuttavia, dopo aver fatto esperienza del prossimo è necessario tornare un attimo nella propria sfera personale. E i luoghi di montagna, immersi nella natura quasi incontaminata, lontano dal tran tran e dagli impegni quotidiani, sono sicuramente i più idonei per aumentare la concentrazione e riflettere col proprio io più intimo. E lo step successivo è abbastanza scontato: nel momento in cui si cerca sé stessi e si è soli, diventa inevitabile la ricerca di qualcos’altro, o meglio, di qualcun altro. E questo Qualcun altro non può che essere Colui che ci ha creati a sua immagine e somiglianza. Tutto concorre alla ricerca del Suo Volto e della Sua Volontà, dai momenti di preghiera comunitaria e personale all’adorazione eucaristica sempre diversa nella forma e per quello che Lui ha da dirti, passando per i continui esami di coscienza precedenti alla riconciliazione.
Da soli e insieme, in maniera equilibrata, ma sempre uniti nel Suo Amore. Ed ecco che viene fuori il cuore nuovo, scrostato da tutta la pietra del peccato e della nostra fragilità che lo circonda, simbolo dell’Amore vero di Dio per noi. Attenzione però a illudersi che una volta ritrovato si possa stare definitivamente e finalmente tranquilli. Trovare Dio non corrisponde al raggiungimento del Nirvana e della pace interiore. Gli ostacoli e le cadute ci sono e ci saranno sempre, e nessuno di noi sarà esente da questi. Il miglior modo per non rendere vana e soprattutto concretizzare “a valle” la discesa dal nostro personale monte Tabor è fare memoria di essere in possesso di questo cuore nuovo, nella consapevolezza che ognuno di noi è prezioso ai Suoi occhi, a prescindere da tutto. In conclusione quindi, da veterano dei campi scuola e da “servo inutile” costantemente in cammino, non posso che confermare quanto siano importanti esperienze di questo tipo, consigliandole davvero a tutti, nessuno escluso. Perché, in fondo, tutti aspiriamo al cuore nuovo. E non c’è cosa più bella di ottenerlo con l’aiuto e sotto la protezione di Chi ci ama più di chiunque altro al mondo.
.